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Tecniche diagnostiche per i beni culturali: la sezione lucida

Per studiare lo stato conservativo di un dipinto o per pianificare il suo restauro vengono condotte indagini di tipo non-invasivo: l’obiettivo primario è raccogliere informazioni senza alcun contatto diretto con l’opera, servendosi di alcune tecniche diagnostiche per i beni culturali, tra cui la sezione lucida.

Ma cosa succede nel caso in cui i dati raccolti non fossero sufficienti?

Le indagini prima del restauro

Restauratori e diagnosti prediligono metodiche non distruttive definite “per immagine”: le sollecitazioni a cui sono sottoposte le opere (raggi X, infrarosso, ultravioletto) producono risposte da parte della materia che vengono captate da opportune strumentazioni e registrate in forma di fotografie, permettendoci così la loro lettura attraverso immagini. Talvolta questo tipo di indagine non offre risposte esaurienti, lasciando aperti dubbi che potrebbero essere sciolti ricorrendo ad un esame più approfondito dell’opera.

Questo si focalizza sull’analisi morfologica e chimica della materia: la scienza può dare risposte certe ai nostri quesiti!

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Pinturicchio, Incoronazione della Vergine, Evangelisti, Sibille, Dottori della Chiesa (dettaglio), 1508-1509, Roma, Chiesa di S.Maria del Popolo.
Fotografia in luce bianca (a sinistra); Fotografia della fluorescenza indotta da radiazione UV (a destra) (Credit: M.Cardinali, M.B. De Ruggieri, C.Falcucci, Diagnostica artistica: tracce materiali per la storia dell’arte e per la conservazione, Palombi Editori, Roma 2007, p.118)

Sezione lucida: indagini micro-distruttive

Per sottoporre le opere a questa tipologia di indagine è necessario prelevare con un bisturi un frammento della dimensione di qualche millimetro quadrato che includa tutti gli strati del dipinto.

Si tratta di un approccio micro-distruttivo che reca un danno, seppur minimo, all’opera; dunque, come è facile immaginare, esso deve essere utilizzato solo quando necessario e approfittando di micro-lesioni o sollevamenti preesistenti. 

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Micro-frammento di materia prelevato da un dipinto. Credit: G. Chellini

Il campione prelevato viene inglobato in un blocco di resina che sarà tagliato perpendicolarmente al piano di superficie e lucidato. La sezione ottenuta viene osservata al microscopio ottico in luce riflessa: qui il dipinto apparirà “affettato” e la successione di strati che lo compongono sarà facilmente distinguibile.

Con ingrandimenti dell’immagine fino a 200 volte si compie un vero e proprio viaggio all’interno della materia campionata: possiamo riconoscere la morfologia dei grani e dei cristalli dei pigmenti impiegati e procedere con la loro identificazione.

Il microscopio elettronico: come funziona?

Oltre a fornire notizie sulla stratigrafia dei dipinti, le sezioni lucide vengono sottoposte ad ulteriori osservazioni: la materia campionata con le indagini micro-distruttive deve essere interrogata a fondo e con diverse tecniche.

Prelevare un piccolo campione di materiale rappresenta il prezzo da pagare per ottenere una conoscenza più approfondita dell’opera: in questo modo i restauratori avranno più dati a disposizione e saranno in grado di operare efficacemente sul dipinto, scegliendo le tecniche e i materiali migliori!

L’osservazione in profondità viene eseguita tramite il SEM, microscopio elettronico a scansione che utilizza un fascio di elettroni al posto di onde luminose e permette di raggiungere maggiori ingrandimenti rispetto al classico microscopio ottico, così si ottengono immagini tridimensionali del campione molto realistiche dal punto di vista morfologico.

microscopio elettronico come funziona
Campione osservato al microscopio ottico (a sinistra); Documentazione al SEM del campione prelevato (a destra).

Combinando l’osservazione al microscopio elettronico a scansione con una microsonda detta «a dispersione di energia (EDS)» si può compiere un’analisi su un’area estremamente piccola di campione. La sonda emette un fascio molto sottile di elettroni. Questo fascio colpisce ogni atomo della materia indagata causando una dispersione di energia che verrà captata da uno strumento rilevatore.

Poiché ogni atomo che compone la materia è caratterizzato da un’emissione elettromagnetica nota, in base alla risposta registrata si è in grado di identificare gli elementi chimici presenti nel campione e di conseguenza i pigmenti o i materiali impiegati.

I pigmenti differenti che si somigliano cromaticamente di solito sono molto difficili da distinguere: la microanalisi al SEM EDS riesce a differenziarli restituendoli in diverse tonalità di grigio, in tal modo è possibile identificare gli elementi chimici e, di conseguenza, distinguere tra due pigmenti dal colore simile ma chimicamente diversi.

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