Esiste una stretta relazione tra il mondo matematico geometrico e la storia dell’arte. Nei secoli, i dati e le formule, hanno aiutato gli artisti e gli architetti a procedere secondo leggi apparentemente rigide e immutabili, per dare sfogo al loro genio artistico.
L’arte, con la sua ricerca della forma pura ed essenziale non poteva che abbracciare la matematica condividendo la teoria platonica delle idee secondo cui la vera essenza di questo mondo imperfetto è la perfetta geometria.
M. C. Escher e la matematica: un fortunato incontro

Escher contribuì mettendo in gioco e approfondendo, lungo il corso di tutta la sua carriera artistica, un ulteriore argomento: il piano e l’associazione tra figura e sfondo.
Quando si traccia una figura si crea uno spazio positivo su una superficie, ovvero lo spazio negativo o sfondo. Nella storia dell’arte gli sfondi sono molto meno interessanti rispetto alle figure, hanno la funzione di esaltare la bellezza del soggetto rappresentato. Escher è un’eccezione; sfruttando il gioco tra figura e sfondo è riuscito, nella sua opera, a riempirli entrambi di significato.
Il complicato percorso che condusse Escher agli studi e all’interesse per la matematica e le forme geometriche iniziò casualmente, come spesso accade, nell’ottobre del 1937.
Mauritz Cornelius Escher aveva già intrapreso molti dei suoi viaggi e il soggiorno italiano era stato, per il suo sviluppo artistico, fondamentale. Già si notava, nelle sue stampe, un particolare riguardo per i geometrismi e le distribuzioni regolari nel piano. Quell’anno, durante una delle sue frequenti visite ai genitori, all’Aia, incontrò il fratellastro Beer, professore di Geologia presso l’Università di Leida e, parlando, fu immediato il collegamento tra le ricerche di Escher e gli studi di cui allora si stava occupando la comunità scientifica. Tre anni dopo, memore di quell’incontro, Escher dichiarerà in un’intervista che proprio il fratellasto gli aveva suggerito di approfondire i suoi studi nel campo della cristallografia, poichè quello che, senza rendersene conto, stava realizzando, era proprio una sorta di cristallografia su una superficie piana, una cristallografia bidimensionale.
Furono necessari tre anni per elaborare la sua teoria della divisione regolare del piano, annotata, nella sua redazione finale, nei quaderni del 1941-1942. La teoria che emerge dai quaderni è generale, può essere applicata ad una vasta classe di motivi composti da una o più figure, regolarmente ripetute e interdipendenti, ricorsive.
La sua teoria profana, come fu definita, si discostava per molti aspetti da quella dei matematici; sebbene gli spostamenti geometrici fossero di fondamentale importanza e sebbene usasse la stessa semplice griglia geometrica di partenza, egli si poneva problemi e offriva soluzioni differenti. In quanto artista, inoltre, la sua teoria abbracciava interessi estranei al loro campo.
I matematici volevano analizzare logicamente una determinata stuttura, Escher voleva scoprire i vari modi in cui creare originali disegni periodici sul piano. I primi partivano sempre da una configurazione preesistente, lui, da un foglio bianco. Il loro era un punto di vista globale, il suo più circoscritto voleva rispondere alla domanda: come può una singola figura venire attorniata da copie di se stessa?

Quanti animali riconoscete?
Dentro e fuori dalla tradizione
Il nostro artista si sentì spesso un pesce fuor d’acqua, isolato dalla tradizione artistica, senza una posizione specifica nel mondo dell’arte e altrettanto distante da quello matematico. Fino agli anni ’50 il suo lavoro non era comparabile con nessuna corrente artistica.
Poi arrivò l’Op Art (Optical Art), erede del Bauhaus. Questo movimento propugnava un’integrazione delle arti nel tessuto sociale e urbano giocando proprio con le illusioni ottiche.

L’Op Art offre molti punti di convergenza con l’opera di Escher ma bisogna constatare che ciò che in quel periodo gli op-artist ricercavano, Escher l’aveva già indagato e in quegli anni lo stava arricchendo, stava aggiungendo dettagli e possibilità a quell’immancabile reticolo geometrico di partenza.
Quello che Escher voleva era l’intreccio di più mondi, questo è anche il presupposto per le serie delle Metamorfosi e, unito all’idea dell’infinito, anche per le Spirali e le Strisce di Moebius.

Ristabilitosi in Olanda, dopo la guerra e dopo aver vissuto per lunghi periodi in Svizzera, in Italia e in Belgio, nel 1962 Escher si ammalò e dovette sottoporsi ad una difficile operazione che arrestò la sua produzione artistica. Riprese la sua attività nel ’69 con la composizione Serpenti che dimostrava come, a distanza di anni, la sua abilità non fosse diminuita, che la mano era ancora ferma, l’occhio ancora acutissimo.
Nel 1970 si trasferì in una casa di riposo per artisti a Laren, sempre in Olanda e qui morì il 27 marzo 1972.
Osservare un quadro di Escher è come immergersi in un gioco. Immaginazione, fantasia e inganno sono le tre caratteristiche che rendono le sue opere uniche. E allo stesso modo doveva essere lui, uomo altissimo e segaligno, gran curioso e gran camminatore, senza dubbio fu un uomo la cui principale attività, ancor prima del disegno, consisteva nello stimolare la mente.
Bibliografia:
- D. Shattschneider, Visioni della simmetria: i disegni periodici di M. C. Escher, Bologna, Zanichelli, 1992
- Catalogo della mostra M.C. Escher, a cura di M. Emmer, C. van Vladeren, Istituto Olandese di Roma, 1985
- D. R. Hofstadter, Godel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante, Milano,Adelphi, 1984
- M. C. Escher, Regelmatige Vlakverdeling, De Roos, Utrecht, 1958
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