La crocifissione era la pena peggiore che i romani potessero comminare e solo quando fu soppressa, nel IV secolo, il Crocifisso divenne il simbolo per antonomasia della religione cristiana.
Le origini della crocifissione nell’arte
La morte per crocifissione era tanto oltraggiosa da non poter essere inflitta ad un cittadino romano: era prevista per gli schiavi, i sovversivi e gli stranieri. Tale supplizio sembra essere stato in uso ancor prima dei romani, forse applicato già dai Babilonesi, e non sempre era legato alla struttura a croce ma poteva anche avvenire attraverso strumenti di forma diversa: un semplice palo o una struttura a V.
Tra le rappresentazioni più antiche di Cristo crocifisso possiamo annoverare una testimonianza, fortemente anti-cristiana: il graffito di Alessameno (II-III sec. d.C.), rinvenuto sul Palatino, il quale è accompagnato da un’iscrizione in greco che irride il culto del cristianesimo. Tale raffigurazione rispecchia la preoccupazione dei pagani per l’avanzata della nuova religione: il graffito rappresenta, infatti, un uomo crocifisso con la testa di un asino e, accanto, una figurina che lo venera. L’iscrizione recita: “Alessameno venera [il suo] Dio”.

Una delle prime rappresentazioni cristiane del tema, è la formella lignea del portale della basilica di Santa Sabina a Roma, sull’Aventino. Risalente al V secolo, è un raro esempio di scultura paleocristiana. Cristo, al centro, è raffigurato frontalmente e di dimensioni maggiori rispetto ai due ladroni al suo fianco: Gesta, il ladrone malvagio si trova alla sua sinistra e Disma, il ladrone buono, alla destra del Redentore secondo quanto tramandato dal Vangelo apocrifo di Nicodemo. Cristo ha gli occhi aperti, la barba e i capelli lunghi; le braccia sono aperte nel gesto della preghiera: solo le mani sono inchiodate mentre i piedi, saldamente poggiati a terra, non portano il segno dei chiodi. Sono assenti le croci e il nimbo attorno alla testa di Cristo.

Cristo trionfante e Cristo sofferente
Nella miniatura dei Vangeli di Rabbula, codice di origine siriaca, è mostrato un Cristo sereno, con gli occhi aperti. Ha il nimbo, la barba, il colobium (la tunica lunga senza maniche usata dai sacerdoti) ed è inchiodato alla croce con quattro chiodi. Accanto a Lui vi sono i due ladroni e, ai piedi della croce, compaiono la Vergine, San Giovanni, Longino (il soldato con la lancia), tre soldati che si giocano le vesti di Gesù, uno che porge al crocifisso la spugna imbevuta nell’aceto e, infine, le Pie donne. Il Salvatore mostra una sofferenza composta: è colui che ha vinto la morte. Questa è una tipica rappresentazione del Cristo trionfante (Christus triumphans): Egli, infatti, nonostante sia stato crocifisso, trionfa sulla morte e viene rappresentato ben eretto, con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte e, soprattutto, senza alcuna traccia di sofferenza sul volto.

La rappresentazione di Cristo sofferente (Christus patients), invece, si diffonde a partire dal XIII secolo, anche grazie al sostegno dell’Ordine francescano. Questa rappresentazione di Cristo è di chiara derivazione bizantina, ed è destinata a sostituire quella del Cristo trionfante.
In questa seconda tipologia, si dà una rappresentazione più umana di Cristo che, pur essendo figlio di Dio, soffre esattamente come un uomo, avendo scelto di incarnarsi in un corpo del tutto uguale al nostro. Cristo ha sempre gli occhi chiusi, il capo reclinato e il suo corpo, più o meno inarcato, è abbandonato alla morte. Uno degli esempi più famosi è il Crocifisso di Giotto nella basilica di Santa Maria Novella a Firenze.

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