Il panorama della cultura sotto la dittatura fascista è un argomento che a scuola non sempre si ha il tempo di affrontare con cura. Inoltre in ognuno di noi vive anche -ammettiamolo!- un certo pregiudizio.
Il contesto culturale del Ventennio è molto più variegato di quanto non credereste e tutt’oggi, in alcune delle città italiane, possiamo osservare edifici o opere che risalgono a questo complesso periodo storico. Perché non abbandonare i pregiudizi e cercare di scavare un po’ più a fondo?
Questo è il primo articolo di una serie sui rapporti tra arte e fascismo in Italia, in cui cercheremo di trattare diversi argomenti: pittura, scultura, architettura e singole personalità.
A questo punto non ci resta che iniziare! 🙂
Arte e fascismo: libertà o censura?
Mussolini prende il potere in Italia nel 1922 e il regime rimarrà in vita fino alla fine della Seconda guerra Mondiale. Se, ad esempio, Hitler aveva dato un segnale molto forte nel 1937 con la Mostra dell’Arte degenerata a Monaco, nella quale aveva indicato con chiarezza quali artisti e quali movimenti non avrebbero trovato posto nella cultura del regime, il fascismo si comportò diversamente.
Fin dagli esordi, infatti, Mussolini e le maggiori cariche del governo si resero conto di due obiettivi molto importanti da raggiungere: coinvolgere gli intellettuali nel proprio programma politico e, soprattutto, coinvolgere gli intellettuali più giovani. Per ottenere questi traguardi era necessario abbandonare la politica della violenza squadrista -che con gli intellettuali non avrebbe funzionato- e cercare di conquistare il loro consenso con mezzi diversi.
La politica culturale fascista sarà caratterizzata dall’istituzione di innumerevoli premi e rassegne di ordine provinciale, regionale, interregionale e nazionale. Dalla Quadriennale di Roma alla Biennale di Venezia, di respiro internazionale, agli artisti del tempo non mancarono le occasioni per farsi conoscere ed esporre. Sei mesi dopo la marcia su Roma, Mussolini affermò
Dichiaro che è lungi da me l’idea di incoraggiare qualche cosa che possa assomigliare all’arte di stato. L’arte rientra nella sfera dell’individuo.
Non dobbiamo prendere quest’affermazione, e le molte altre di analogo segno, alla lettera. Il controllo, la censura dei mezzi di informazione e dell’arte sono tutti meccanismi che il fascismo utilizzerà ampiamente durante il Ventennio ma, soprattutto durante i primi anni, gli obiettivi sapientemente calcolati della politica culturale fascista non impedirono agli intellettuali di sostenere di vivere sotto un “regime di libertà” che rispettava l’individualità e l’autonomia della coscienza al contrario del comunismo e del capitalismo. Dopo la Prima guerra mondiale, infatti, molti intellettuali di destra affermarono che la democrazia fosse la causa primaria degli sconvolgimenti politici attuali; la libertà, secondo loro, deriva dalla sottomissione alla collettività. Il fascismo, quindi, diventava la “terza via” da opporre al comunismo e alla democrazia.
Novecento: un movimento per il “ritorno all’ordine”
Un movimento artistico che non possiamo dimenticare è quello chiamato Novecento, animato da Margherita Sarfatti, critica d’arte colta e raffinata, costretta a fuggire dall’Italia dopo l’emanazione delle leggi razziali (1938).
La prima esposizione degli artisti che vogliono “rappresentare il Novecento” proponendo un “ritorno all’ordine” dopo le sperimentazioni futuriste, risale al 1923, presso la galleria Pesaro a Milano. Gli artisti sono sette tra cui Achille Funi e Mario Sironi, quest’ultimo pittore, architetto, scultore e illustratore che rivestirà un ruolo di primo piano nel panorama culturale del ventennio.
Nel 1924 alcuni di loro esposero alla Biennale di Venezia e nel 1926 la Sarfatti organizzò, a Milano, un’esposizione composta da opere di più di cento artisti contemporanei. Tra questi ricordiamo Carlo Carrà, Antonio Donghi, Felice Casorati, Giorgio Morandi, Fortunato Depero, Gino Severini, Mario Sironi, Arturo Martini, Leonardo Dudreville.
Gli artisti di Novecento tornano ad avere come punto di riferimento l’antichità classica, di intramontabile fascino, mirando a composizioni armoniose, lontane dalle sperimentazioni avanguardistiche dei futuristi, improntate ad una serena purezza.
Valori Plastici e Corrente: le riviste sotto il regime fascista
Le riviste in auge tra la Prima e la Seconda guerra mondiale sono tantissime: molte nascono e si spengono nel volgere di pochi anni.
Una rivista di particolare interesse è Valori Plastici, fondata nel 1918 e attiva fino al 1922. Vi collaborarono Carrà, Soffici, Savinio, Morandi e il principio che propugnava era la necessità di recuperare il patrimonio classico, offrendosi come occasione a diversi ex-futuristi di dimenticare la loro fase interventista, dopo gli orrori della Prima guerra mondiale: tutti valori che, come abbiamo visto, verranno poi raccolti prontamente dagli artisti di Novecento.
Corrente, invece, è fondata nel 1938 intorno ad un gruppo di intellettuali guidati da Ernesto Treccani. Vi trovarono asilo artisti alla ricerca di un’alternativa al linguaggio artistico promosso da Novecento. Vi partecipò con entusiasmo anche Renato Guttuso, siciliano d’origine e trasferitosi ben presto a Roma, che iniziò a far parlare di sé già dal 1933, quando esposte alla I Mostra del sindacato nazionale fascista di Belle Arti (Firenze). Questa mostra fu duramente contestata da alcuni critici ma rappresentò il riconoscimento ufficiale delle potenzialità delle nuove generazioni a testimonianza che progressivamente anche le tendenze più radicali e moderne dell’arte andavano manifestandosi accanto a quelle ufficiali.
People reacted to this story.
Show comments Hide commentsOttimo articolo che ci fa’ comprendere che l’Arte non ha spazio e tempo .L’Arte e’ l’espressione del nostro passato e la previsione del nostro futuro.
Alfrdo Verdi Demma