Negli ultimi decenni si è registrato un crescente interesse verso gli studi che indagano la visione come processo influenzato da dinamiche storico-sociali, che finiscono col determinare cosa e in che modo osserviamo ciò che ci circonda.
L’autrice del saggio che abbiamo letto, ha studiato un testo di Mieke Bal (1996) Double Exposure: The Subject of Cultural Analysis. Il suo approccio analitico parte da una prospettiva fortemente asimmetrica. Ispiratosi, infatti, al linguista francese Émile Benveniste, Mieke Bal si è chiesto: chi sono i protagonisti delle relazioni che si dispiegano in un museo? Ne ha rintracciati tre e li ha paragonati alle “persone” di un discorso.
La prima persona rintracciata da Bal è il museo non come istituzione ma come autorità culturale che, attraverso certe formule espositive, non si limita a mostrare le opere ma suggerisce, al contempo, modi per osservarle. La seconda persona è il visitatore, la terza persona, invece, è l’opera d’arte, l’oggetto di cui si parla. La terza persona è il più importante elemento, il solo visibile, e proprio questa caratteristica permette l’esistenza di tutte le altre relazioni.
L’autrice di questo saggio si è però posta una domanda interessante: si può applicare tutto ciò al complesso campo della didattica? Durante una visita guidata si verifica certamente un incontro tra spettatore e opera all’interno del museo, come analizzato da Bal, ma con la differenza importante che nei contesti educativi non è solo l’opera d’arte ad essere visibile perché il museo delega parte della propria autorità alle guide specializzate o agli operatori didattici. L’ambiente educativo, infatti, è spesso caratterizzato da una certa autonomia. Vi è una crescente libertà di sperimentare secondo differenti punti di vista e nei contesti educativi sono stati studiati e insegnati diversi modi di guardare l’arte.
Per esplorare ulteriormente questo rapporto parleremo di come i musei e le gallerie d’arte, attraverso l’organizzazione di eventi, hanno contribuito a educare il modo di guardare dai visitatori secondo specifici ideali.
1) Come guardi l’arte? L’occhio “disciplinato”
L’occhio “disciplinato” è il modo di vedere più frequente: il visitatore, infatti, cerca incondizionatamente di adottare il metodo di osservazione proposto dalla cosiddetta “prima persona”.
Storicamente parlando, la formazione dell’occhio “disciplinato” è legata all’idea del museo come istituzione educativa in cui vengono scelte opere per il loro valore indiscutibile di capolavori e vengono mostrate secondo principi che potremmo definire quasi tassonomici (la scuola, lo stile, la nazionalità, la cronologia…).
In questo caso, la prima persona è visibile attraverso l’autorità indiscutibile della selezione delle opere, l’organizzazione spaziale e le informazioni fornite ai visitatori per guidarli verso una corretta comprensione del valore culturale e artistico delle opere d’arte, in base al loro contesto storico e nazionale. Il visitatore, quindi, manifesta la tendenza a considerarsi come un allievo, un vaso vuoto che dovrebbe essere riempito secondo le regole della cosiddetta alta cultura e si aspetta, quindi, di ricevere insegnamenti anche su come approcciarsi ad un’opera d’arte.
Nel caso della didattica, a causa della presenza della guida e al diretto contatto con gli studenti, questo modo di vedere è messo in discussione sia dai visitatori, che possono iniziare a porre domande della guida, e/o dalla guida stessa che può iniziare ad adottare forme alternative di comunicazione.
2) Come guardi l’arte? L’occhio “estetico”
Mentre l’occhio “disciplinato” è il risultato di iniziative intenzionali di curatori e/o guide, l’occhio “estetico”, al contrario, è un modo di osservare l’arte che si ritiene collegato a facoltà innate del visitatore. Il white cube contemporaneo sollecita come nessun altro l’occhio “estetico” perché è concepito per consentire di contemplare le opere senza interruzioni (e senza servirsi di materiale informativo). Privato dei pannelli e dei testi, il visitatore deve assumere i panni della prima persona, osservando le opere sulla base delle propria sensibilità e delle proprie preferenze estetiche. A causa dell’invisibilità della prima persona, che si nasconde dietro le pareti bianche apparentemente neutre e che non dà orientamenti o spiegazioni, quando ai visitatori viene chiesto, direttamente o indirettamente, di adottare questo tipo di approccio, molti di loro taglieranno corto sostenendo che «non capiscono l’arte».
L‘impostazione educativa più tipica pensata per consentire l’educazione dell’ “occhio estetico” degli spettatori, è la formula del workshop realizzato in uno spazio separato dalla mostra, dove i visitatori possono sperimentare senza disturbare le sale “sacre” delle mostre. In linea con le idee estetiche che improntano l’allestimento delle sale, lo scopo di questa impostazione didattica è quello di liberare le forze intuitive del discente facendogli esplorare la propria vena creativa e, in tal modo, stimolando un modo di guardare intuitivo ed empatico.
3) Come guardi l’arte? L’occhio “desiderante”
Questo approccio ha delle caratteristiche in comune con gli altri due. Come per la formazione dell’occhio “disciplinato”, anche quella dell’occhio “desiderante” ha un approccio apertamente educativo, perché la “prima persona” considera il pubblico alla stregua di studenti. Come avviene anche nel’educazione all’occhio “estetico”, c’è un forte interesse per la formazione di una relazione individualizzata tra visitatori e opere, sulla base delle preferenze dei primi.
Tuttavia, a differenza delle altre due pratiche, nell’educazione dell’occhio “desiderante” si cerca di stimolare la voglia di imparare dei visitatori e per questo motivo vengono previste attività didattiche e viene predisposto materiale informativo.
Con l’adozione di questo punto di vista, in realtà è il museo (o galleria) che prende in prestito dal mondo dell’educazione tecniche e approcci. In questi casi, la guida o l’operatore cerca apertamente di esporre e di problematizzare riflessioni e le opinioni dei visitatori.
Infine…
Questi tre approcci, nonostante le loro differenze, hanno una cosa in comune: contribuiscono alla formazione di una persona autonoma, capace di decodificare sia il mondo che la circonda sia la propria vita emotiva.
L’occhio “disciplinato” è educato ad applicare modi di guardare oggettivi, attraverso un approccio che potremmo definire scientificamente corretto.
L’occhio “estetico” è fortemente individualizzato grazie alla promozione delle intuizioni personali e delle emozioni connesse alla visione delle opere.
L’occhio “desiderante” è portato a osservare le cosa da più punti di vista, incentivando il processo di formazione individuale.
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