L’arte contemporanea si nutre di molteplici linguaggi, afferenti a discipline diverse: il teatro e la danza nella performance o il cinema e la musica nella videoart. Gli esempi possono essere tantissimi e spesso, esaminando un’opera d’arte contemporanea, ci rendiamo conto di quanto i confini tra le discipline siano diventati labili e anche di quanto non siano fondamentali per comprendere a pieno un’opera.
E se l’arte parlasse di se stessa…?
Non è raro che gli artisti di oggi citino esplicitamente opere realizzate nel passato da altri autori. Scrivendo un testo di qualunque natura (una tesi, una relazione, un saggio…) citare le parole di un altro autore è una pratica molto diffusa e serve a dare autorevolezza alle nostre tesi, a fornire un apparato critico e teorico al nostro elaborato; comparando le teorie di più autori possiamo, ad esempio, analizzare le loro poetiche, illustrare gli estremi di un dibattito o di un problema, diffondere e far conoscere opere letterarie e saggi, trovare nuove connessioni con altri studiosi.
Nell’arte contemporanea la citazione viene intesa come prelievo operato da un artista su opere d’arte realizzate da altri, o su parti di esse, determinando così uno scarto linguistico e una diversità di sguardo sulle tematiche e i presupposti culturali originari.
Citazioni sull’arte contemporanea
I cinque tableaux vivant della serie Diary of a victorian dandy realizzati da Yinka Shonibare nel 1998 sono liberamente ispirati al ciclo A rake’s progress di W. Hogarth del 1735.
Riprendendo Hogarth, pittore molto attento alla condotta morale, Shonibare si diletta a diventare egli stesso personaggio principale, aggiungendo una dimensione politica e sociale all’opera. La pittura inglese del XVIII secolo rivelava, infatti, due mondi isolati: gli uomini di colore esistevano solo come riflesso della (presunta) superiorità dell’uomo bianco. La citazione si riferisce a un’epoca storica caratterizzata da una forte ipocrisia e da una morale molto rigida ed è una chiave di volta che ci fa interrogare sul significato della presenza di Shonibare nei panni del personaggio principale, idolatrato dalle donne, ammirato dagli uomini, sicuro di sé nella raccolta di lusinghe e applausi. I rapporti tradizionali vengono capovolti, suscitando riflessioni su due temi profondamente intrecciati: la condizione dell’artista proveniente dal cosiddetto Terzo Mondo nel sistema dell’arte contemporanea e le conseguenze culturali del colonialismo.
A destra possiamo vedere il famoso Bar aux Folies-Bergères di Edouard Manet (1881), a sinistra invece Pictures for Women, fotografia scattata nel 1979 dal canadese Jeff Wall. Nel secondo caso compare l’artista stesso al posto dell’avventore dipinto da Manet in alto a destra e, mentre la modella di Wall riprende la postura della cameriera, l’apparecchio fotografico posto al centro della scena evoca molteplici suggestioni. Gli sguardi tra i due personaggi di Manet sono appena percepibili, nell’opera di Wall, invece, diventano il punto d’attrazione focale dell’intera scena; il gioco degli specchi è riproposto secondo un allestimento simile, ma la macchina al centro della scena riesce a catturare il momento della realizzazione della fotografia, dandoci l’impressione di guardare direttamente verso di noi.
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